Ritiene la Cassazione che la questione si inquadri nella «norma di cui all’art. 10 della (…) legge n. 604/1966, che stabilisce che le “norme della presente legge” per i prestatori di lavoro “assunti in prova, si applicano dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro”».
«Invero», prosegue la Suprema Corte, «il regime decadenziale previsto dall’art. 32 della legge n. 183/2010 si applica alle ipotesi di allontanamento dal lavoro ivi espressamente indicate e non, quindi, al recesso intimato durante il periodo di prova».
Dunque, «la normativa sui licenziamenti individuali di cui alla legge n. 604/1966 novellata nel 2010 è applicabile soltanto nel caso in cui l’assunzione diventi definitiva e comunque quando siano decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604/1966».
Quid iuris se il lavoratore eccepisce la nullità del patto di prova?
Tale eccezione non è ostativa, ad avviso della Corte, secondo la quale «la prospettazione della nullità del patto di prova [non] è inconciliabile con il motivo accolto (inapplicabilità di decadenza a rapporto di lavoro in prova)» in quanto «la tutela applicabile nel caso in esame va valutata in ottica diacronica e non sincronica»; ovvero, «l’inapplicabilità della dichiarata decadenza si pone a monte delle questioni di merito, che dovrannno essere esaminate una volta superato, perché appunto normativamente inapplicabile, l’ostacolo di rito giudicato preclusivo nelle fasi di merito».
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