La Cassazione insiste. Invalida la conciliazione formalizzata in azienda (Cass. 8.4.2025 n. 9286, rel. Michelini)

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«La sede di stipula e di sottoscrizione dell’accordo», è l’esordio della Cassazione, «non è un requisito neutro», ma «concorre alla funzionalità delle forme prescritte».

Tanto premesso, il Collegio ha inteso «dare continuità ai principi affermati da questa Corte (Cass. n. 10065/2024) secondo cui la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore; ciò in quanto, in materia il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo; tale forma di protezione giuridica non è necessaria (art. 2113, ultimo comma, c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette, quali la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le Commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 – ter e quater, c.p.c.)».

Al contrario, «modalità quali quelle seguite nel caso in esame (sottoscrizione dal datore di lavoro e dal lavoratore, seppure alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società) non soddisfano i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base alle disposizioni richiamate, dato che la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti».

La Suprema Corte, in conclusione, ha ritenuto “valida” la «impugnazione, nella specie, del verbale di conciliazione inter partes», sottoscritto «presso la sede dell’azienda stessa» (per giunta in presenza di rappresentante sindacale alla cui sigla «il lavoratore non era iscritto»), ed ha rinviato il giudizio alla corte d’Appello competente, in diversa composizione.

PER IL RIASSUNTO, LA CITAZIONE O LA RIPRODUZIONE SI CHIEDE LA CORTESIA DI MENZIONARE IL SITO LABLAWYERS.CLOUD

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